Le organizzazioni resilienti sono anche sicure?
Possiamo riassumere il concetto di resilienza nella capacità di cambiamento e apprendimento di una persona, gruppo, organizzazione o sistema. Si apprende dall’esperienza passata e si creano le basi per una trasformazione che guarda al futuro.
L’approccio della resilience engineering[1] (traducibile come ingegneria della resilienza) riconduce la resilienza alla capacità di rispondere agli eventi, di monitorare quello che succede, di prevedere rischi e opportunità e di imparare dall’esperienza[2].
La visione è necessariamente multifattoriale e sistemica e include la necessità di addestrare le persone ad analizzare e a prevenire i rischi e anticipare gli eventuali incidenti.
Le organizzazioni e i suoi componenti possono apprendere se le informazioni circolano in modo trasparente ed efficace, se i problemi vengono affrontati ricercandone le cause profonde, se viene promossa la cultura dell’apprendimento e rimossa la cultura della colpevolizzazione.
In questo modo la sicurezza e la resilienza si collegano e permettono di costruire e mantenere organizzazioni che gestiscono i rischi e colgono opportunità.
Il modello della Resilience Matrix sviluppato da Bracco (Agnello P. et Al., 2017)[3] descrive il funzionamento di un sistema organizzativo resiliente e sicuro.
La matrice prende in considerazione due variabili: tipo di segnale e attore coinvolto. Il tipo di segnale è classificato secondo la trattabilità e variabilità e può essere: trattabile-non variabile, variabile-ma trattabile, intrattabile-molto variabile.
L’attore coinvolto può essere l’individuo, il gruppo o l’organizzazione. La resilienza si evidenzia quando vi è un’appropriata gestione dei segnali che permette di muoversi da un settore all’altro rendendo trattabili anche eventi inizialmente critici o potenzialmente rischiosi.
Questo modello descrive sistemi in grado di individuare e gestire informazioni relative a possibili minacce così da mettere in campo azioni per gestire il rischio e mantenere alti i livelli di sicurezza. Però il modo in cui le organizzazioni gestiscono i segnali (in particolar modo i segnali deboli) cambia in base alle caratteristiche delle organizzazioni.
Tipologie di organizzazioni e diversità nell’essere resilienti e sicuri
Le organizzazioni si esprimono in diversi modi rispetto alla resilienza e alla sicurezza, in base alla cultura, ai valori prevalenti e agli obiettivi che perseguono.
Possiamo distinguere tre principali tipologie organizzative: Expertise-Based, High Reliability Organization (HRO) e Ultra-Safe[4]. Nella tabella seguente[5] vengono descritte le caratteristiche dell’organizzazione, le qualità emergenti, il livello organizzativo maggiormente coinvolto per la resilienza, le funzioni delle persone e le loro competenze, il tasso e la tipologia di eventi avversi e alcuni esempi.
I sistemi organizzativi sanitari e socio-sanitari possono essere ricondotti alla tipologia Expertise-Based, in quanto “operano in condizioni di alto rischio, generalmente esposti a condizioni poco predicibili e altamente variabili”[6].
Sono modelli basati sull’expertise degli operatori e quindi, in caso di minacce, si attivano a livello di individuo. Le decisioni devono essere locali e rapide ed essere supportate da alti livelli di competenze tecniche e non tecniche.
Sono denominate anche come “organizzazioni ultra-resilienti”[7] per evidenziare la loro capacità di essere flessibili, adattabili e proattivi nella gestione dei segnali deboli. In questa tipologia di organizzazioni, la proattività può essere incrementata sviluppando nei professionisti la consapevolezza di operare in un sistema ad alto rischio e promuovendo l’implementazione di buone pratiche.
I pilastri per promuovere la sicurezza e la resilienza
Possiamo quindi descrivere tre elementi che permettono a queste tipologie di organizzazioni di apprendere e cambiare per diventare più sicure e resilienti:
- Formazione
- Procedure
- Tecnologia
La formazione permette agli individui di mantenere aggiornate e allenate le competenze tecniche e non tecniche e di sostenere gli altri due aspetti, cioè di accompagnare l’introduzione di procedure e tecnologie. Bisogna quindi orientarsi verso percorsi formativi aggiornati , che unendo la teoria alla pratica possano offrire soluzioni concrete alle problematiche quotidiane.
Le procedure danno “struttura” ai processi e consentono una certa dose di standardizzazione anche in ambienti incerti come quelli sanitari e socio-sanitari. La loro introduzione deve essere preceduta da una analisi organizzativa, in modo da garantirne la condivisione e la massima applicazione alla propria realtà.
La tecnologia fornisce l’opportunità di rendere maggiormente efficaci ed efficienti le attività all’interno dei processi. Il suo utilizzo permette inoltre di sistematizzare e rendere sicure procedure ad alto rischio all’interno delle organizzazioni sanitarie, si pensi ad esempio alle operazioni legate al ciclo del farmaco .
Si tratta di tre “pilastri” che andrebbero considerati in un’ottica congiunta e integrata per permettere un reale sostegno all’apprendimento e al cambiamento.
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Bibliografia e fonti
[1] Hollnagel, E., Paries, J., Woods, D. D.,Wreathall, J., Resilience engineering in practice: A guidebook. Burlington: Ashgate Publishing, 2011
[2] Agnello P. [et al.], Promuovere la sicurezza nelle organizzazioni attraverso manager resilienti, INAIL, Quaderni di Ricerca, numero 14, settembre 2017
[3] Agnello P. [et al.], Promuovere la sicurezza nelle organizzazioni attraverso manager resilienti, INAIL, Quaderni di Ricerca, numero 14, settembre 2017
[4] Agnello P. [et al.], Promuovere la sicurezza nelle organizzazioni attraverso manager resilienti, INAIL, Quaderni di Ricerca, numero 14, settembre 2017
[5] Pennini A., Armellin G., L’organizzazione resiliente. L’esperienza dell’emergenza CoViD-19 in ambito sanitario e sociosanitario, FrancoAngeli, Milano, 2021
[6] Agnello P. [et al.], Promuovere la sicurezza nelle organizzazioni attraverso manager resilienti, INAIL, Quaderni di Ricerca, numero 14, settembre 2017
[7] Amalberti, R., Navigating safety: Necessary compromises and trade-offs–theory and practice. London: Springer, 2013