La relazione sul settore delle RSA in Italia oggi, a cura dell’Osservatorio Settoriale di LIUC Business School, fa il punto sulla situazione di questo importante settore del Long Term Care prima e durante l’emergenza da Covid-19, mettendo in luce importanti criticità e carenze organizzative e strutturali. La ricerca è stata presentata durante l’audizione presso la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica e offre analisi e spunti interessanti per ripensare la programmazione di servizi ed investimenti soprattutto in considerazione dell’andamento demografico Italiano e delle future necessità di assistenza agli anziani.
Italia fanalino di coda in Europa per posti letto in RSA
Attualmente sono circa 265.000 i posti letto in RSA e in strutture con valenza sociosanitaria. Tale numero, rapportato agli anziani residenti colloca l’Italia al terz’ultimo posto tra paesi OCSE con soli 19,2 posti letto ogni 1.000 abitanti over 65, contro la media di 47,2 posti; in questa classifica il nostro paese si colloca meglio solo di Polonia e Turchia (Fonte OCSE Health at Glance 2019).
Antonio Sebastiano, Direttore Scientifico dell’Osservatorio precisa che: «Ci sono però grandi differenze tra le regioni. Il dato italiano risente delle enormi diversità anche in termini di dotazione da regione a regione. Di fatto ci sono regioni dove siamo abbondantemente al di sopra di questo valore (19,2 pl/1.000 abitanti), ancorché molto lontani dalla media OCSE. Penso ad esempio alla Lombardia ed al Veneto dove siamo intorno ai 28-29 posti letto ogni 1.000 anziani residenti, e a regioni del Centro e del Sud Italia dove i posti letto per 1.000 over 65 sono abbondantemente al di sotto anche della media italiana».
Gli scenari futuri
Nel corso della presentazione è stato mostrato un grafico che simula l’evoluzione che dovrebbe seguire l’offerta di posti letto in funzione dell’andamento della curva di invecchiamento della popolazione. Mantenendo invariata la dotazione attuale (18,6 pl) il numero di posti letto dovrebbe comunque aumentare considerevolmente raggiungendo, entro il 2035, quota 330.800. Queste previsioni evidenziano che il settore non può rimanere fermo e che nuovi investimenti devono essere pianificati, tenendo presente che l’Italia è la nazione demograficamente più vecchia in Europa.
Residenzialità e domiciliarità: una sinergia, non un’alternativa
Anche in termini di domiciliarità l’Italia è agli ultimi posti rispetto ai paesi OCSE «La domiciliarità oggi in Italia è abbastanza sottodimensionata» spiega il prof. Sebastiano «anche in questo caso siamo fanalino di coda rispetto ai paesi OCSE, […] nel 2019 avevamo una media di 18 ore annue per utente, che scendevano a 15 ore annue (come dato medio) nel caso la persona presa in carico fosse stata anziana. Da questo punto di vista, quindi, è sicuramente necessario un potenziamento della domiciliarità, ma è un potenziamento che non può essere letto a monte come un’alternativa alla residenzialità».
Questa affermazione è tanto più veritiera quanto è più chiara la reale condizione delle persone che oggi fanno domanda per un ricovero definitivo nelle strutture residenziali per anziani.
L’utente tipico della RSA ha un’età media all’ingresso prossima agli 85 anni, limitazioni di tipo funzionale, importanti problemi nella sfera cognitiva (58,53% degli ospiti ha un MMSE ≤18), e richiede anche assistenza durante l’alimentazione in oltre un caso su tre (32,01%).
Alcuni indicatori, rilevati in epoca pre-covid a cura dell’Osservatorio Settoriale sulle RSA, fotografano una permanenza in struttura piuttosto breve (circa 2 anni) se confrontata alla degenza media di soli 10-15 anni fa dove i tempi medi di permanenza erano decisamente più lunghi. Il tasso di mortalità medio nel 2019 era del 19,74%, mentre la mortalità nei primi 30 giorni dal ricovero era del 5,68%. Alla luce di queste sintetiche informazioni si capisce comunque che si tratta di pazienti estremamente fragili e con scarsa autonomia, per i quali interventi al solo domicilio non sarebbero sufficienti.
Mortalità degli anziani in tempo di emergenza Covid
Nel grafico precedente vengono rappresentate le 5 regione che, nel corso della prima ondata, hanno registrato i più alti incrementi nei tassi di mortalità (a prescindere dalle cause di morte). In particolare vengono analizzati gli incrementi tra il 21 febbraio e il 15 maggio 2020 rispetto alla media del medesimo periodo nei 5 anni precedenti (2015-2019).
A tal proposito Sebastiano mostra come: «l’incremento dei decessi in tutte e tre le fasce di età ascrivibili alla classificazione cronologica del paziente in età senile è stato molto alto; più del 30% [..] è stato molto alto anche in quei segmenti di popolazione che non rappresentano gli utenti tipici delle RSA, ma che sono riconducibilli a persone che erano al proprio domicilio o in altri servizi del territorio (ma certamente non in RSA in quanto under 85), quindi anche questa idea secondo la quale nelle RSA ci sia stato un tasso di mortalità più alto di quello che si è osservato sul territorio o al domicilio, credo non sia stato dimostrato assolutamente in modo corretto».
Uno studio specifico è stato condotto dall’Osservatorio RSA durante la prima ondata Covid su un campione di 17 RSA Lombarde appartenenti ad un unico ente gestore, quindi con procedure e protocolli per gestire l’emergenza identici a prescindere dall’ubicazione territoriale. «Abbiamo osservato che l’incremento nei tassi di mortalità riscontrati in queste strutture nel periodo post covid (21 febbraio-4 aprile), comparati a quelli medi dei medesimi periodi dei tre anni precedenti (2017-2019) sono fortemente correlati alla mortalità che si è osservata negli anziani dei comuni in cui queste strutture erano ubicate; in sostanza nelle RSA, durante l’emergenza covid, si verificava la stessa situazione che si verificava al di fuori dell’RSA all’interno dello stesso comune. Le medesime correlazioni non sono invece dimostrabili (statisticamente significative) nel periodo pre covid (1 gennaio-20 febbraio)».
Chi supplisce all’assistenza agli anziani
Se i servizi in Italia non sono organizzati in modo ottimale, a supplire alle carenze del sistema sono le donne con più di 50 anni. Il 63,5% delle over 50 infatti esercita un ruolo da caregiver informale, posizionando il nostro paese al terzo posto rispetto ai paesi OCSE e addirittura al primo posto se consideriamo invece la frequenza delle cure che, nell’80% dei casi, ha frequenza giornaliera.
Da ultimo Sebastiano evidenzia come: «il dato da cui dobbiamo partire è questo: metà del peso della non autosufficienza ricade all’interno delle famiglie italiane. […] La struttura della famiglia italiana si è modificata enormemente negli anni presi come riferimento (1995 vs. 2018): le coppie con figli sono diminuite di oltre un milione e mezzo mentre sono aumentate di oltre un milione le coppie senza figli e sono aumentate di oltre un milione e duecentomila unità le persone ultrasessantenni che vivono sole. Questa evoluzione farà sì che in futuro questa disponibilità di caregiver familiari non ci sarà più, anche dal punto di vista del sostegno economico».
Qual è lo stato di salute economico-finanziario delle RSA oggi
Come stanno uscendo economicamente le RSA dall’era Covid? Cresce il numero di RSA che chiude il conto economico con un risultato negativo: dal 9% nel 2019 al 63% nel 2020. Considerando la gestione caratteristica delle RSA l’89% del campione ha un risultato economico negativo. Il 2021 per molte strutture si chiuderà ancora più negativamente stando agli ultimi dati dell’Osservatorio. In un contesto del genere il focus oggi ricade anche sugli aspetti gestionali ed organizzativi del mondo dei servizi assistenziali alla persona, che risentono, oltre degli oneri e dei rischi aggiuntivi, anche di una carenza di personale specializzato, migrato nei contesti ospedalieri durante l’emergenza Covid. La digitalizzazione e le innovazioni che porta con sé, come ad esempio la cartella elettronica o l’armadio farmaci robotizzato offrirebbe un aiuto sia gestionale che in termini di risparmio di tempo, e rappresenta una delle sfide del settore per il futuro.
Fonti: Audizione, in videoconferenza, dei rappresentanti dell’Osservatorio Settoriale sulle RSA della LIUC Business School
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